Castagne d'acqua Noi ragazzi, perennemente affamati, mangiavamo di tutto, anche i trigui che erano i piccoli frutti di una pianta che cresceva negli stagni dove l'acqua non era molto alta. Riusciva ad emergere con le foglie e con dei fiori bellissimi di colore rosa intenso. Noi ne mangiavamo i frutti appesi lungo il gambo sia sulla parte emersa che su quella sommersa. Entravamo nell'acqua con le scarpe (era davvero sconsigliato farlo a piedi nudi!), strappavamo il gambo e con un sasso frantumavamo il guscio solido e durissimo. Era un frutto con tre o quattro spine molto acuminate e pericolose. Di solore bianco all'interno aveva un sapore dolce e per certi versi simile a quello di una castagna. Festeggiare il I maggio di nascosto Durante tutto il Ventennio fascista dovevamo festeggiare il Primo Maggio di nascosto, nel bosco. Si portavano damigiane di vino e si passava tutta la giornata assieme; si faceva friggere il pesce, si cucinavano le prime lumache e si ballava e si cantava. Mi ritorna sempre il ricordo delle tante cantate che si facevano in compagnia, testa vicina a testa, con la mano destra a cucchiaio appoggiata all'orecchio. Ci sentivamo uniti, solidali, fratelli ed il canto ci dava gioia e qualche volta ci faceva commuovere.
I Natali in casa dei padroni Ricordo una brutta usanza che era stata imposta in quegli anni dal regime: in occasione della festa dei natali di Roma si era obbligati ad andare a mangiare a casa del padrone e questa per noi era una grande umiliazione. I figli degli Zilli che erano più o meno nostri coetanei ci trattavano male e ci sfottevano. Noi ragazzi non volevamo andare, ma i genitori ci mandavano a forza per il timore di qualche ritorsione da parte della locale sezione del fascio. Quando tornavamo a casa la mamma ci chiedeva - Avete mangiato bene?- e la nostra risposta era tutti gli anni la stessa -mèi la pulenta surda a cà nossa, mama! (meglio mangiare la polenta senza companatico, ma farlo a casa nostra mamma!)
La mia partenza per la montagna Ho informato Pagàn e Milièto e così una sera mi contattano e mi dicono dumàn matèna a li sinc fat catà al simiteri äd San Nazêr, fiscia l'aria äd "Partono i sommergibili" (una canzone che si cantava a quei tempi); grarà föra un partigiàn e ät vè via cum lü! (domani mattina alla cinque fatti trovare davanti al cimitero di S.Nazzaro e fischetta l'aria di "Partono i sommergibili", si presentarà un partigiano e tu andrai via con lui!) Così è stato. Ho scoperto che il mio compagno d'avventura era Maghèlo di San Nazzaro, che allora non conoscevo, e sono andato via con lui. Dalle parti della Ròta, vicino a Caorso, abbiamo incontrato La Pierina che ci doveva portare su in montagna. Pierina era una gran bella ragazza, mora, simpatica e coraggiosa, che aveva già il fratello con i partigiani di Giuàn ä Slav. Lei faceva la staffetta in bicicletta avanti e indietro dalla pianura alla montagna portando armi e messaggi. | 24 Settembre 1944 Un giorno verso la fine di settembre, veniamo allertati: dopo esserci preparati rapidamente partiamo in aiuto dei partigiani della 31ª Brigata Forni. Questi, arroccati nella difesa di Salsomaggiore, stavano subendo un pesante attacco condotto da vari lati, anche dal lato destro attraverso la vallata dello Stirone, molto vicina alle nostre postazioni. Una colonna di Nazi-fascisti che risaliva il torrente da Scipione Ponte si era portata intanto fino a Case Passeri sotto Vigoleno. Noi, lasciando sul nostro lato sinistro il borgo, stavamo scendendo con un camion nella loro direzione senza avere ancora la percezione precisa di dove li avremmo incontrati. Io ero seduto davanti su un fanale, mentre Farfàlèn (io e lui eravamo i due più giovani del gruppo!) era seduto sull'altro fanale. All'improvviso dietro ad una curva si parano davanti a noi due due ragazzi giovanissimi della Repubblica Sociale di stanza a Fidenza. Alla prima raffica che abbiamo lasciato partire si sono impauriti tanto che hanno mollato le armi e si sono fatti facilmente prendere prigonieri. Spaventatissimi e sollecitati a parlare, senza farsi pregare più di tanto, ci hanno messo a corrente di cosa stava accadendo giù al gruppo di case: i fascisti avevano appena ucciso brutalmente un ragazzo del posto, Ranato Granelli. Abbiamo allora mollato il camion e ci siamo avvicinati a piedi muovendoci con maggiore cautela. Percorse alcune centinaia di metri veniamo presi di mira da colpi sparati da due ufficiali tedeschi che si sono fatti incontro alla nostra squadra. la reazione è stata immediata e la raffiche con lo Sten di Santino e di Negus li hanno falciati. Quando siamo ormai nelle vicinanze delle prime case, riusciamo a cogliere di sorpresa un gruppo di militari che si stava apprestando a fucilare un certo Gatti, un abitante della zona che faceva il contoterzista agricolo con le trebbiatrici. L'intervento di rivela tempestico e fruttuoso. Accortisi della nostra manovra di accerchiamento i Nazi-fascisti si danno ad una fuga precipitosa. Abbandonano il Gatti più morto che vivo dallo spavento e si buttano giù verso il torrente per mettersi in salvo, cercando di evitare le nostre raffiche. | A casa Nei giorni successivi ho fatto servizio di guardia alla caserma. Quelli che un tempo erano stati i boriosi fascisti locali avevano calato di molto le arie e imploravano tremanti pietà, compassione e perdono - Pecorari. Una brava famiglia come la tua... numerosa, brava gente... mi raccomando... non farci del male! - Chissà se erano fino in fondo consapevoli di tutto il male che loro avevano fatto, di quanto dolore avevano arrecato alla gente di Monticelli. Chissà se in quei momenti si ricordavano di quante torture e di quanti morti in battaglia o nei campi di concentramento avevano sulla coscienza. - Milièto, va dà na batida a cul là, c'ä m'a fat bev l'oli d'risèn (Milieto vai a picchiare quello la, che mi ha fatto bere l'olio di ricino) Altri mi incitavano a picchiare questo o a picchiare quell'altro - Vacci tu a vendicarti visto che sei stato tu a prendere le botte!- io rispondevo. Ma alle parole poi non hanno fatto seguire i fatti. Il carcere Verso la fine del 1949, nelle settimane che precedevano il Natale, la polizia ha cominciato a presidiare i boschi in forza, schierando più di cento poliziotti trasportati a bordo di numerosi camion. (ndr per reprimere l'occupazione delle terre demaniali della Cooperativa Braccianti) Io sono stato fermato per primo assieme a Pagàn. Siamo stati caricati a forza su una camionetta e portati alla Bonissima di Dodi. Tutti gli altri che erano nelle vicinanze e che hanno assistito alla scena si sono precipitati ed hanno fatto cerchio attorno a noi, bloccando di fatto l'automezzo. O töti o 'nsöni" Së purtè via lûr gh'i dä purtàm via töti! - (O tutti o nessuno! Se portate via loro dovete portare via tutti!) Allora sono arrivati con i camion e ci hanno caricati tutti e portati in carcere a Piacenza: eravamo in più di settanta. |